
IL MAESTRALE | Testo e musica: Nicholas Palmieri | Regia: Alice Palumbo
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Un affresco crudo e disilluso, un Mediterraneo che non si lascia addomesticare dalle narrazioni da cartolina, ma che si mostra nella sua essenza contraddittoria: teatro di bellezza e tragedia, sogno e naufragio, libertà e prigione.
Mediterraneo Centrale è tutto questo: un racconto in musica e immagini che sovverte la visione idilliaca del Sud Italia, rivelandone le tensioni profonde. Sole, mare, soffocare, affogare, morire, e poi sparire. Parole che si ripetono come un mantra, un'ossessione ciclica che spezza la retorica della "vita lenta" e restituisce un Mediterraneo asfissiante, immerso nel caldo, nelle contraddizioni, nella precarietà. Il brano racconta un Sud doppio, che accoglie e respinge, che prospera grazie al turismo ma si svuota dei suoi abitanti, costretti a partire.
Il Mediterraneo Centrale non è solo una rotta, è un confine liquido dove si incrociano le vite di chi fugge e di chi si rilassa, di chi cerca una nuova esistenza e di chi consuma il paesaggio come fosse un’esperienza acquistata. Mare, in alto mare, con le scarpe, i vestiti, tra le orate ammazzate da cianfrusaglie. Il mare, intanto, non restituisce solo conchiglie, ma oggetti e corpi, scarti e storie cancellate troppo in fretta.
Il videoclip, girato dalla giovane regista Alice Palumbo, trasforma eccezionalmente il teatro Cittadino di Noicàttaro – il teatro più piccolo d’Europa, conosciuto anche per essere il teatro dove è stato girato Pinocchio di Garrone – in una spiaggia surreale, svelando la finzione del racconto turistico. Una ragazza legge al sole, una famiglia occupa la spiaggia con sedie di plastica e borse frigo, mentre un pescatore tira su abiti logori invece di pesci: scarti della fast fashion, rifiuti di una società che ingoia e sputa senza memoria. I pranzi familiari e la convivialità che caratterizzano l’immaginario idilliaco della Puglia si incontrano con la plastica e i cocci di vetro di birra lasciati a morire sul bagnasciuga.
Tuttavia, Il Maestrale intende sfidare la visione dicotomica del Sud, che oscilla tra tradizione e industrializzazione degna di colonialismo. La canzone non porta in sé il giudizio: non rifiuta il mare o il sole, ma invita a guardare oltre l'apparenza, suggerendo che esistono sfumature più complesse e nascoste dietro ogni cosa, lasciando stare giudizi estremi, ma riportando solo una riflessione su ciò che resta nascosto dietro le immagini turistiche, i fatti di cronaca e i luoghi comuni. Nel finale, il pubblico dagli spalti osserva tutto, riprendendo con i telefoni: lo spettacolo della vita lenta continua, l’indifferenza resta. Siccità che morde la pelle, e noi, sul lato fortunato, bagniamo le membra nelle stesse acque dove galleggiano strani pesci. Il Sud non è solo quello delle maioliche colorate e delle feste patronali, ma anche quello della vita violenta, dello sfruttamento, della lotta tra ciò che si racconta e ciò che si nasconde.